Negli Stati Uniti è, da un paio d'anni, esploso il fenomeno dei food trucks. L'idea è, allo stesso tempo, semplice e geniale: poter gustare cibo di qualità preparato al momento senza necessariamente doversi sedere ad un ristorante. La varietà di food trucks che hanno iniziato a popolare le strade delle città è molto ampia: si va da comfort food (quello che in Italia si potrebbe definire "della nonna") a prodotti specifici (cupcakes ad esempio) fino a veri e propri ristoranti raffinati su ruote. Alcuni degli chef dietro questi food trucks hanno anche ristoranti tradizionali, ovvero fatti di quattro mura.
Sono imprenditori?
Vediamo:
- hanno sviluppato un'idea innovativa (non che non esistessero prima, ma ne hanno rivoluzionato il concetto, democratizzando il prodotto senza che questo necessitasse di compromessi in termini di qualità)
- hanno saputo intercettare una fascia di clientela i cui bisogni erano attualmente insoddisfatti (mangiare cibo di qualità a prezzi abbordabili anche durante una veloce pausa pranzo)
- hanno sviluppato modelli di business basati sul concetto di bootstrapping (investimento ridotto e utilizzo di tutte le risorse fino all'ultimo centesimo)
Hanno tutti i crismi per essere definiti imprenditori e come tali vengono trattati dalla stampa sia di business che di critica gastronomica.
Spostiamoci in Italia.
Il concetto è presente nella nostra cultura da decenni: paninari, porchettari, piadinari e quant'altro. Solitamente posizionati nelle vicinanze di locali notturni ad orari prossimi alla chiusura degli stessi, capitalizzano su una clientela poco incline ad una scelta informata, quanto spinta ad una scelta obbligata o priva di alternative.
Chi li definirebbe imprenditori in Italia? Temo pochissime persone.
E questo mi serve per esprimere il messaggio chiave di questo post: se si vuole contribuire alla ripresa economica del nostro Paese, è necessario lasciare che le energie dei giovani vengano canalizzate in attività imprenditoriali dove l'etichetta imprenditoriale deve essere affissa con dignità qualsiasi sia il settore scelto. Bisogna dismettere atteggiamenti e predisposizioni vetusti e dannosi quali "eh ma devi trovarti un lavoro serio". Bisogna invece incoraggiare a capitalizzare sulle proprie energie, passioni, interessi e promuovere lo spirito di iniziativa, soprattutto nei giovani. Proprio la scorsa settimana ho conosciuto una persona che, dopo un MBA conseguito presso la Kellogg School of Management (top 5 al mondo secondo Business Week) si è iscritta ad una scuola di cucina per seguire una sua passione ed ha poi aperto un ristorante, dimostrazione di come ci si debba liberare dall'oppressione dell'escalation of committment. Oppure sapersi reinventare imprenditori in momenti di difficoltà economica e disoccupazione.
Certo è necessario che a livello istituzionale ci sia maggiore attenzione all'iniziativa imprenditoriale come volano dell'economia (defiscalizzazione, incentivi per l'imprenditoria giovanile e in aree economicamente depresse, deburocratizzazione), ma non è che queste spesso rimangano giustificazioni a copertura di un atteggiamento mentale poco aperto alla sfida imprenditoriale?
Io vorrei vedere centinaia di food trucks invadere le strade italiane con tutte le varietà di cibi regionali cucinate con attenzione al prodotto e prezzi contenuti per venire incontro al difficile momento economico. Vorrei vedere questi imprenditori. Poi benvengano anche gli Steve Jobs.
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