Come costruire un ecosistema imprenditoriale? Come stimolare creazione d’impresa e innovazione? Come far diventare un luogo un attrattore di idee e talento? Queste domande riecheggiano puntualmente all’interno degli svariati dibattiti, tavole rotonde, conferenze, convegni e seminari dedicati ogni anno ai temi dello sviluppo locale. E altrettanto puntualmente il mito di Silicon Valley viene presentato come modello di riferimento cui tendere, quasi fosse l’unica e sola vera via per rispostagli interrogativi di cui sopra.
Purtroppo gli studiosi che si sono occupati seriamente di questo tema sempre più diffusamente convergono nel ritenere questa via, per l’appunto, niente più che un mito. Oggi vorrei esprimere alcune riflessioni in proposito. Procederò per punti, cercando di delineare quelle che ritengo essere le vie più promettenti per stimolare l’imprenditorialità su scala locale. Per spazzare il campo da ogni dubbio premetto che non credo nell’esistenza di una “formula” vincente. Credo però che si possano definire delle linee guida, una sorta di roadmap, a partire da alcuni semplici principi.
Principio 1: Stop Fantasising about the Valley!
Silicon Valley è l’espressione di un processo di sviluppo straordinario basato sulla concomitanza di circostanze uniche e irripetibili. Cito le più eclatanti ( ma la lista potrebbe essere molto più lunga):
a) La presenza di una eccezionale infrastruttura industriale incentrata sui settori aerospaziale e delle radiocomunicazioni su cui si sono innestate le prime importanti iniziative imprenditoriali. Su questo punto rimando al blog di Bradford Cross e alla sua ricca ricostruzione storica del fenomeno Silicon Valley, recuperabile qui.
b) La cultura liberale e aperta della California, una regione che è stata plasmata da pionieri pronti ad abbandonare vecchie certezze per perseguire nuove opportunità. E ovviamente il diffuso spirito imprenditoriale di un paese, gli USA, in cui sina da piccoli si è esposti a storie "mitiche" di figure imprenditoriali e innovatori come Edison o Benjamin Franklin e dove per le strade si trovano statue dedicate a capitani di industria come Andrew Carnegie o Henry Ford.
c) Stanford e il rapporto tra università e industria. L’università di Stanford si sviluppa sin dai primi anni di vita con un orientamento di apertura e scambio nei confronti del mondo industriale. Le università californiane sono inoltre storicamente impegnate nella promozione di science parks, uffici di trasferimento tecnologico, incubatori, e fondi di investimento (Stanford, tanto per citare uno dei tanti casi eclatanti, ha incassato 200 milioni di dollari dalla propria quota in Google!). A questo si unisce una politica estremamente liberale nei confronti di PhD stranieri. Basti pensare che nel 2008 le nuove imprese fondate o co-fondate da immigrati stranieri erano il 52% del totale. Nel 1998 erano il 25%.
e) La presenza negli anni 60 di una struttura eccezionale come Fairchild Semiconductors, un laboratorio di ricerca pionieristico da cui fuoriusciranno nel giro di pochi anni i futuri fondatori di giganti come Intel, AMD, National Semiconductor, Kleiner Perkins e Xerox Parc, organizzazioni queste ultime a loro volta destinate a gemmare legioni di imprenditori (i famosi "fairchildren"), come illustrato nella figura sottostante.
Questa concomitanza di fattori ha messo in moto un processo tutt’altro che lineare e altamente idiosincratico. Dunque impossibile da riprodurre “by design”. Ispirarsi a un modello di riferimento è quasi sempre utile e costruttivo, a patto che non si tratti di un modello utopico. Nel prossimo post cercherò di contrapporre alla chimera Silicon Valley 3 semplici idee su come avviare un percorso di costruzione dell’ecosistema graduale e “dal basso”.
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