lunedì 21 marzo 2011

Costruire un ecosistema imprenditoriale (parte II)

Proseguo oggi la mia lista di spunti in merito alle modalità/possibilità di creazione di un ecosistema imprenditoriale. Nel post precedente ho rilevato la difficoltà di usare Silicon Valley come paradigma di riferimento.  Vorrei oggi invece concentrarmi su  alcune “practices” che dovrebbero a mio avviso ispirare scelte di policy o più in generale azioni di stimolo/sostegno all’imprenditorialità:

Punto 2: Credere (e investire) nel potere della comunità
L’imprenditorialità, in quanto innovazione, presuppone un confronto continuo con l’incertezza e quindi una significativa tolleranza al rischio. Uno strumento indispensabile per iniettare fiducia a chi innova è il confronto con la comunità dei pari. Per comunità dei pari intendo tutti coloro sono animati da spirito imprenditoriale e che nella condivisione delle loro storie trovano forza per andare avanti, procedere o rialzarsi se sono caduti. Trovare in altri imprenditori dei modelli di riferimento è importantissimo e indispensabile, specie nei momenti più difficili, quando la porpia idea sembra arenarsi contro barriere di scetticismo o indifferenza. Come alimentare questo senso della comunità?
·        Ad esempio attraverso iniziative come brainstorming lounge, momento di incontro a cadenza mensile che aggrega imprenditori desiderosi di raccontarsi e condividere preoccupazioni e speranze del loro percorso imprenditoriale. Una momento in cui, nella lotta quotidiana per legittimare la propria idea, ci si puo’ scoprire molto meno soli di quanto talora non si creda. Ben vengano iniziative di questo tipo, che portano boccate di ossigeno a chi decide di fare impresa. Massimo e Bruno (i.e. Massimo Bocchi e Bruno Iafelice, ideatori del blounge), continuate così! 

·        Celebrando e comunicando in tutti i modi possibili le “gesta” degli imprenditori che ce la fanno e che possono indurre altri a provarci e a mettersi in gioco attraverso l’emulazione. E' nell’esempio infatti che gli emuli trovano la ragione forse più forte e tangibile per dire “ci provo anch’io”. Penso a come il successo di Skype  abbia ispirato una intera schiera di nuovi imprenditori in Estonia. Baidu (il motore di ricerca più diffuso in Cina) ha fatto lo stesso in Cina. Questi successi, se ben comunicati, galvanizzano gli animi riducendo la percezione di barriere e rischi.

·        Portando gli imprenditori nelle Università a raccontare agli studenti che “il fare impresa” è una strada possibile. Una strada difficile, impervia, costellata di ostacoli ma anche foriera di sorprese e gratificazioni non paragonabili a quelle proprie di percorsi più sicuri e lineari come il management o la consulenza.  Personalmente, già da alcuni anni cerco di coinvolgere in maniera sistematica imprenditori e investitori in aula per permettere agli studenti di capire che l’imprenditorialità è un mondo possibile. Tornerò su questo tema a breve. 

Punto 3: Fare leva sulle gazzelle
Il termine gazzella è molto in voga nella letteratura accademica per indicare nuove imprese particolarmente dinamiche e veloci che riescono in tempi relativamente brevi a raggiungere risultati significativi. Può sembrare un’affermazione elitistica e iniqua ma la verità è che 50 imprese da due persone e una impresa che ne impiega 100 non sono la stessa in termini di creazione di valore. I posti di lavoro sono gli stessi ma il potenziale di apprendimento, l’effetto reputazione e la capacità di ispirare sono molto superiori. Il messaggio di policy che ne traggo è (solo in parte) provocatorio. L’allocazione di risorse a favore di nuove imprese non deve essere “democratica” ma selettiva. Bisogna puntare sulle imprese più ambiziose, affamate di crescita e di innovazione. E quando le gazzelle emergono dovrebbero essere celebrate il più possibile attraverso i media.

Punto 4: Alleviare gli ostacoli culturali
Cambiare l’orientamento verso l’imprenditorialità significa trasferirne l’importanza e rimuovere quell’aura negativa o diffidente che troppe volte in Italia circonda il “fare impresa”. Questo richiede anche una attitudine culturale meno severa e stigmatizzante nei confronti del fallimento. Vi cito una frase di Denis Payre (fondatore di Business Object, ceduta nel 2007 a SAP per 6.8 bilioni di dollari) che mi ha molto colpito e che denota perfettamente il contrasto tra due approcci culturali all’imprenditorialità, quello europeo e quello statunitense:

 “When I decided to quit my job at Oracle my family and friends in Europe gave me 10 reasons why I should not do it. By contrast, when he visited the US, people gave me 10 reasons why I should do it. We live in a very risk-averse environment”

Cambiare routine culturali è forse la sfida più grande ma è anche una delle più decisive. In che modo procedere? A piccoli passi, ma con grandi aspirazioni. Godetevi questo video.

Nessun commento:

Posta un commento