"Entrepreneurs who start and build new businesses are more celebrated than studied" (Amar Bhide, 1991)
Il post
odierno è dedicato ad un tema su cui mi sono espresso già in passato ma rispetto
al quale desidero fare qualche precisazione. In un post di qualche tempo fa ho
sottolineato l’importanza di dare visibilità alle storie imprenditoriali (di
successo e non), celebrandone i protagonisti. Ho anche osservato che negli
ultimi anni si è fatto tanto in questo senso, al punto che si può oggi parlare,
dopo il tracollo del fenomeno dot.com di inizio XXI secolo, di una nuova
ascesa dell’imprenditorialità a livello internazionale.
La
ribalta delle startup è stata tale negli ultimi anni da diventare persino oggetto di interesse
da parte di Hollywood, che ha trasformato la storia imprenditoriale di Mark Zuckerberg
in uno dei maggior successi cinematografici del 2011. E' poi noto che star mediatiche e
icone pop del calibro di Justin Timberlake, MC Hammer, Lady Gaga e Justin
Bieber investono sempre più assiduamente in startup tecnologiche. A livello governativo la Casa Bianca si è
formalmente impegnata nel progetto Startup America
e in Italia per la prima volta nella storia del paese il governo ha varato attraverso il progetto
“Restart,
Italia!” un vero e proprio piano di sviluppo imperniato sulle
startup. Il canale Bravo ha ideato e prodotto un reality show dal titolo “Start-Ups:
Silicon Valley” che ha esordito il 5 Novembre 2012 sulle TV americane,
mentre in Italia è partita a Settembre di quest’anno la versione nostrana di “The
Apprentice”, con Briatore nella parte del Boss in cerca di intraprendenti
talenti.
Non vi è dubbio che tutto questo hype abbia un importante valore
segnaletico, nel senso che contribuisce a rendere più visibile e probabilmente più entusiasmante
il fare impresa come percorso professionale e personale alternativo a traiettorie
di carriera probabilmente più sicure (manager, consulente, banchiere, etc.), ma anche più limitate (e limitanti) nelle loro
ricadute allargate. D’altro canto
vi è anche il rischio, forse sottile ma proprio per questo più subdolo, di far passare
il messaggio illusorio che creare un’azienda sia la strada “facile” e alla
portate di tutti per diventare rapidamente ricchi e famosi.
La verità è l’esatto
contrario. Questo tipo di percezione non solo è illusoria ma rischia di nuocere all'intero ecosistema imprenditoriale alimentando il culto della persona, inflazionando il sistema di progetti senza una solida e reale spinta motivazionale, generando “rumore di
fondo” e frustrando l’allocazione corretta
di talento e capacità. Per circoscrivere questo possibile effetto collaterale è
importante demistificare il processo imprenditoriale, spogliandolo degli
orpelli edulcorati sui cui i media tendono a far leva per imbastire storie di facile
appeal, raccontandolo invece con la sincerità - talora brutale - che è propria di un percorso duro,
tortuoso, irto di rischi ma anche sorprendente e gratificante se correttamente interpretato. Come ha recentemente sottolineato il popolare
autore di The Lean Startup Eric Reis:
“l’imprenditorialità non è divertente, non è sexy e non è confortevole. E’ dura
e noiosa, ma questa parte della storia non è mai mostrata nel film”.
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