Negli
ultimi anni faccio spesso la seguente domanda ai miei studenti dell’Executive MBA:
quante delle business unit in cui lavorate in questi anni di crisi hanno subito
dei tagli di budget? Dopo la prima reazione di risate nervose circa l’80% alza
la mano. A questo punto chiedo: quante di queste business hanno visto il budget
crescere? Altra risata, ma questa volta a nessuno alza la mano. Poi dopo
tipicamente chiedo: chi è responsabile dei tagli di budget? La risposta più
ricorrente: la funzione finanza.
Questo quadretto
illustra una trappola in cui cascano
molte organizzazioni quando il gioco si fa duro: scegliere un approccio
difensivo, orientato nel migliore dei casi alla stasi e più tipicamente al
taglio indifferenziato di costi. E sfortunatamente la funzione che viene preposta
alle decisioni di razionalizzazione non sa cosa vogliono i clienti, non è in
altre parole consapevole delle opportunità di mercato. Perché parlo di
trappola? Perché se c’ un risultato ricorrente negli studi che si occupano di
crescita è che a ri-partire forte quasi sempre sono le imprese che hanno avuto
la fermezza/coraggio di investire in periodi di recessione. Questo non
significa che la ripartenza a fronte di una situazione di crisi debba passare
necessariamente attraverso una strategia aggressiva di investimento. Il punto
non è questo. Il punto è che per ripartire bisogna saper cogliere delle nuove
opportunità, dunque bisogna essere pronti a redistribuire le risorse, giocando
simultaneamente in difesa e in attacco. O
in altre parole investendo meno (tagliano attività che non aggiungono valore)
per investire di più – sostenendo attività che possono alimentare nuove
opportunità.
Il
problema è che perseguire nuove opportunità non è facile, perché spesso
richiede una qualche forma di discontinuità con il passato, scelte inedite e assunzione di rischio. E come ben sappiamo le imprese non sono naturalmente
predisposte a ripensare ai propri
modelli di riferimento. Cito un caso che
ho approfondito recentemente quello della Mutti SPA l’azienda di Parma che
produce pomodori in scatola, passata e concentrato di pomodoro. Tra la fine
degli anni 90 e il 2012 l’azienda è passata da circa 11M a 185M di fatturato.
L’inizio di questa cavalcata ha corrisposto con l’ingresso di Francesco Mutti
alla guida dell’azienda creata dal suo bis-nonno.
In un settore sostanzialmente maturo,
caratterizzato da concorrenza feroce sui prezzi, schiacciato dalle etichette private
label dei grandi supermercati, Francesco
(con buona dose di coraggio) ha investito,
e lo ha fatto in controtendenza rispetto all'approccio dominante. Invece che abbassare i prezzi ha puntato sulla qualità. In una industria in cui i
produttori cercano di spuntare i prezzi più bassi possibili dai coltivatori
Mutti ha incominciato ad offrire un premium per pomodori di qualità superiore.
Ha chiesto ai coltivatori di ritardare la raccolta di 5 giorni per avere
pomodori più maturi e saporiti senza dover aggiungere dolcificanti. Il premium
compensa i coltivatori per il grado di rischio superiore che si assumono. Poi
ha istituito un riconoscimento “Il
pomodorino d’oro” per premiare i produttori migliori e celebrare la cultura
della qualità. Questi momenti di celebrazione divengono inoltre occasione per disseminare buone pratiche nel
campo dell’agricoltura di precisione e
altre tecniche green.
Questi (e altri) accorgimenti hanno permesso all'azienda non solo di
crescere ma di riuscire in un obiettivo, come Francesco Mutti ha recentemente dichiarato, in cui non credeva
nessuno. Far emergere un brand da un settore altamente commoditizzato come
quello della polpa di pomodoro.
La storia di Mutti sembra confermare il vecchio adagio: Non
esistono settori maturi ma solo manager maturi!
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